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L’evoluzione di chiodi e spit

Chiodi Spit Evoluzione

Nuovo appuntamento con “La biblioteca che non ti aspetti. Storia Alpinistica Trentina” della SAT.

Dopo aver parlato dell’evoluzione della scarpetta d’arrampicata, della corda e della piccozza, oggi vedremo l’evoluzione di “chiodi e spit”.

All’inizio i chodi erano strumenti artigianali, lunghi e molto pesanti. Per questo se ne utilizzavano pochi. Il minimo possibile.

L’evoluzione di questo strumento è dovuta dall’evoluzione stessa dell’alpinismo.

L’aumento delle difficoltà ha accresciuto il bisogno di assicurazioni in grado di adattarsi alla conformazione della parete.

A seconda della roccia (dolomia o granito) cambia il tipo di chiodo utilizzato.

Col passare del tempo si realizzano anche chiodi da fessura, concepiti per adattarsi e riempire la fessura man mano che vengono battuti all’interno.

Nei primi chiodi la corda veniva fissata attorno al chiodo stesso in quanto privo di anello.

Con l’avvento dei rinvii, venne aggiunto l’anello, pensato per agganciare il moschettone o legarci attorno il cordino.

A differenza di dadi, friend e cunei –chiamate protezioni veloci– i chiodi sono da intendersi quali protezioni fisse e non rimovibili.

L’uso dei chiodi in alpinismo ha posto anche una questione etica tra gli alpinisti.

Ad esempio, Paul Preuss, sosteneva l’idea che i chiodi non si dovessero utilizzare perché bisogna essere in grado di salire e scendere dalla montagna con le proprie forze.

Al contrario, molti alpinisti, ne fecero ampio utilizzo. L’apice venne raggiunto negli anni Cinquanta con l’arrampicata artificiale.

Negli anni successivi si ritornò progressivamente ad un’arrampicata in libera con l’uso dei chiodi in base all’esigenza.

Per ulteriori informazioni e approfondimenti trovate l’articolo completo sul sito ufficiale della SAT

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